Lo slavo, il bidello, l'albanese e la coerenza dell'ambiente

Pubblichiamo quest'oggi un interessante articolo tratto da un sito che si occupa di Lazio (www.sslaziofans.it), nonostante sia un pezzo scritto da laziali per i laziali può di diritto apparire sul nostro sito:


Lo slavo, il bidello, l'albanese e la coerenza dell'ambiente
di Stefano Greco - 01 Giugno 2012

C’erano una volta uno slavo, un bidello e un albanese, che incontratisi per caso in Svizzera, con la complicità del figlio italo-svizzero di un procuratore indagato per la tentata scalata alla Roma di due anni fa. No, non è un giallo, è l’intreccio che ha portato il “carneade” Vladimir Petkovic sulla panchina della Lazio, grazie alla regia di Jesse Fioranelli e di suo padre Vinicio Fioranelli, ex socio di Vincenzo Morabito e tornato alla ribalta delle cronache per la mancata scalata alla Roma dei Sensi. Una storia che merita di essere raccontata, come merita un’attenta riflessione la reazione da parte dell’ambiente e, soprattutto, la “coerenza” del tifoso laziale di oggi. Ma partiamo dall’inizio.

Dopo aver contattato una dozzina di allenatori e mentre Lotito ancora tentava di convincere Reja a fare marcia indietro, l’albino ds albanese (che con il tecnico giuliano ha già rotto da tempo i rapporti) si ritrova un giorno in Svizzera e incontra Vinicio Fioranelli, che gli sussurra all’orecchio il nome di Vlado Petkovic. “Ti serve un allenatore a basso costo e di carattere? Quello è il tuo uomo”. Una dritta di mercato da parte di uno che in tempi andati ha portato insieme a Morabito alla Lazio gente come Riedle, Doll, Di Matteo e Stankovic, npn deve essere per forza di cose sbagliata, anche se il personaggio in questione è poco più che un “carneade”, uno che alla soglia dei 50 anni ha allenato solo in Svizzera e neanche squadre di vertice e che come ha messo il naso fuori dalla Svizzera ha fallito ed è stato esonerato. Ma il suggerimento di Vinicio Fioranelli un po’ “puzza”, soprattutto se si fa riferimento a quell’esperienza in Turchia sulla panchina del Samsuspor. Indovinate chi è il collaboratore più stretto di Vlado Petkovic? E’ Jesse Fioranelli, figlio di quel Vinicio Fioranelli che ha portato Petkovic in Turchia. L’esperienza dura pochi mesi, perché prima Petkovic poi Jesse Fioranelli hanno ricevuto il benservito dal Samsuspor che sotto la loro regia è arrivato terzultimo in campionato ed è retrocesso. Ora, l’accoppiata si ricompone a Roma e diventa trio, con l’inserimento nelle staff come vice di Petkovic (Jesse Fiornali è il tattico, l’ottimizzatore o come si dice oggi il match analyst) di un bidello di Bellinzona di origine italiana con la passione per il calcio. No, non è uno scherzo, è la realtà. Arno Rossini, con un’esperienza in passato sulla panchina del Locarno, nella vita di tutti i giorni fa l’assistente scolastico, quello che anticamente veniva più semplicemente chiamato bidello.

Ora, a me come impressione visiva Vladimir Petkovic sta pure simpatico e la storia è talmente assurda che non può non affascinarmi sia come giornalista che come amante delle cose strane e impossibili. Quindi, non mi permetto di esprimere giudizi lapidari e tantomeno di gettare la croce addosso a Petkovic e agli altri componenti di questo strano trio a cui sono state affidate da Tare le sorti della Lazio, ma questa vicenda merita qualche considerazione, soprattutto riferita all’ambiente e alla reazione dei tifosi della Lazio.

L’estate scorsa, quando la Roma decise di affidare il suo nuovo progetto sportivo a Luis Enrique, calciatore dal passato glorioso ma con alle spalle la sola esperienza da tecnico di un campionato vinto con il Barcellona B, la metà biancoceleste stava piegata in due dalle risate e ancora prima del calcio d’avvio della stagione si sprecavano le battute e le prese per i fondelli. La parola d’ordine, era “meglio l’usato garantito rappresentato da Reja che il nuovo senza garanzia rappresentato da Luis Enrique”. Nonostante la delusione per la Champions League sfuggita per la seconda volta consecutiva e le aspettative diverse tra Lazio e Roma ad inizio stagione, a conti fatti l’usato garantito ha dimostrato di essere meglio del nuovo senza garanzia, anche se alla fine entrambi hanno deciso di loro sponte di chiudere l’esperienza romana. Ora, ad un anno di distanza i ruoli sono invertiti. Sulla panchina della Roma sta arrivando un usato garantito rappresentato da Zeman, quello che non vinceva mai ma faceva divertire (un po’ come Reja, in fatto di vittorie, ma con un abisso a favore del boemo in quanto a calcio giocato e divertimento) e che comunque sulla panchina della Lazio ha collezionato un secondo e un terzo posto (piazzamenti che oggi garantirebbero l’ingresso comodo in Champions League…), quando le grandi erano veramente grandi e il calcio italiano dominava in Europa. Sulla panchina della Lazio arriva un nuovo (per giunta neanche giovane e senza esperienza internazionale) con un esonero alle spalle nell’unica occasione in cui ha messo il naso fuori dalla Svizzera e che cosa succede? Che i tifosi laziali predicano calma e prudenza, invitando ad essere ottimisti, ad avere fiducia rinviando qualsiasi giudizio alla fine della prossima stagione, perché i cavalli si giudicano all’arrivo. Insomma, questo vale per Petkovic, ma non valeva per Luis Enrique e non vale neanche per Zdeneck Zeman, che proprio sconosciuto non è e che quest’anno ha portato in Serie A contro ogni pronostico un Pescara composto da sconosciuti. E questa sarebbe la “coerenza” che una volta era l’emblema del tifoso biancoceleste e che anche ora viene tante volte sbandierata dall’ambiente laziale come segno di distinzione da quello romanista?

Ripeto, contro Petkovic non ho assolutamente nulla e gli auguro tutte le fortune possibili ed immaginabili sulla panchina della Lazio, ma delle persone serie qualche domanda oggi se la dovrebbero fare. Ci si dovrebbe chiedere, ad esempio, come mai dopo un quinto ed un quarto posto per fare un salto di qualità si opta per questa soluzione a dir poco bizzarra. Ci si dovrebbe chiedere perché dopo aver praticamente chiuso un accordo con Zola a febbraio a fine maggio Zola non era più buono e non erano buoni altri allenatori almeno con un filo di esperienza di campionato italiano. Ci si chiede perché sono stati inseguiti e corteggiati per settimane Montella e Mazzarri e poi si è scelta la strada che porta in Svizzera e a questo trio. Ci si dovrebbe chiedere se alla base di tutto questo c’è come elemento fondamentale il “low cost” dell’operazione (600.000 euro contro i quasi 3 necessari per arrivare a Mazzarri o l’1,5 che andrà a prendere Montella in quel di Firenze) e se a far pendere l’ago dalla parte dello slavo siano state le “non pretese” di Petkvovic a fronte delle garanzie chieste da tutti gli altri allenatori contattati, che Lotito e Tare li conoscono bene o hanno imparati a conoscerli vedendo come a pagare il conto delle loro promesse non mantenute sia stato solo Reja.

Ecco, queste sono le domande che un ambiente serio dovrebbe porsi, senza lasciarsi drogare da chi fino ad una settimana fa neanche conosceva l’esistenza di Petkovic e  che ora fa il giro delle sette chiese per trovare qualcuno in giro per il mondo disposto a dipingerlo come il nuovo guru del calcio mondiale. Il tutto per fomentare per l’ennesima volta un entusiasmo senza fondamenta. Come è successo l’estate scorsa e come succede regolarmente da anni. Ma la “coerenza”, oramai, è una bandiera lacera e senza asta in casa Lazio…

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